Ormai qui siamo a svariate settimane di deliri gastrici irrisolti, e ciò non va bene. Questo un po’ mina anche tutto il resto.
Che poi qualcosa è capitato, nelle ultime settimane. C’è stato un evento in particolare che mi ha dato molto da pensare e che tira fuori questioni di difficile, anzi, impossibile risoluzione.
Molto cripticamente, facciamo finta che Arthur Conan Doyle avesse impostato la storia del suo detective così: il dottor Moriarty scompare tragicamente in mezzo all’acqua vorticante di una cascata, ma Sherlock non è lì con lui. Anzi, a Sherlock non interessa molto di Moriarty, nonostante si somiglino abbastanza. Ognuno di loro ha fatto le sue scelte e, poiché il protagonista è Sherlock e non Moriarty, le lenti attraverso le quali vediamo i fatti sono le sue. Potrebbe essere l’opposto? Doyle non si pone la questione: se qualcuno vuole scrivere le cose da un altro punto di vista, lo faccia pure. Lui non lo farà. Il suo protagonista è necessariamente Sherlock.
Sherlock detesta Moriarty perché in lui vede tutto ciò che ha scelto di non fare. Cosa pensa Moriarty di lui? Non si sa. Ai lettori di Doyle non interessa granché saperlo.
Serve un ladro per riconoscerne un altro. Ma se un ladro sceglie di non rubare, rimane un ladro o no?
Ma soprattutto, ha importanza?
Diciamo che a Doyle non importa. Sherlock scrolla le spalle, incerto. La storia di Moriarty è una faccenda per qualcun altro, un altro libro da scrivere, con altri lettori, probabilmente proprio una storia diversa. Rashomon insegna.
E ancora: si può essere amici, fidanzati, fratelli, padri, conoscenti, compagni inseparabili. Ma a cercare di esser troppe cose tutte insieme si rischia di confondersi.
E concludo: e finiamola co’ ‘sta pioggia, mi sto vagliando dal mal di schiena. (terra terra, ma almeno questo si capisce)
(Vi lascio con roba zozza da fangirl)
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